Il lockdown, la menopausa e la civiltà.

Il lockdown, la menopausa e la civiltà.

Ognuno deve fare la sua parte. Questa è la parola d’ordine di questo storico momento dell’umanità. E qual è la mia? Cosa può fare una donna in età di menopausa durante il lockdown? Ve lo siete chieste?

A meno che non siate medici, infermiere, oss, insegnanti alle prese con il web, cassiere di supermercato, coltivatrici di cavolfiori o allevatrici di galline, qual è la vostra parte? Si può fare qualcosa che sia oltre lo stare a casa per evitare il contagio?

Care signore, io penso di sì, possiamo fare oltre e possiamo fare molto. Del resto ci siamo allenate: noi donne libere dalla fertilità abbiamo da sempre la responsabilità della civiltà.

Per chi non conoscesse la mia idea sulla menopausa, la riassumo brevemente: mentre il mondo della medicina e della ricerca scientifica sono concentrati nello scovare l’errore biologico che “causa” questa scandalosa mancanza del sistema fisico femminile, gli antropologi sanno che  presso le civiltà primordiali le donne senza più obbligo di riproduzione, libere da allattamento e accudimento, sono quelle che hanno contribuito in maggiore misura alla sopravvivenza della loro comunità.

Le donne in menopausa erano più libere di muoversi alla ricerca di cibo da raccogliere, più esperte del territorio e delle proprietà delle piante, tenaci camminatrici e con meno necessità di cibo per sopravvivere anche lontano dalle scorte. Mentre i maschi si dedicavano alla caccia, più rischiosa per la vita, sempre incerta riguardo il bottino e che procurava cibo di difficile conservazione, le donne in menopausa esploravano le foreste e tornavano con cibo adatto anche ai bambini più piccoli.

Da queste osservazioni gli antropologi hanno dedotto la teoria “delle Nonne”: nei tempi più oscuri della nostra preistoria, quando la caccia era molto pericolosa perché gli umani erano soprattutto prede, la sopravvivenza della specie fu garantita da queste donne “libere” di andare lontano perché non avevano cuccioli da accudire ed erano in grado di procacciare cibo per tutti: giovani madri e bambini per primi. Senza la menopausa ci saremmo estinti.

Da questa teoria che trovo logica e plausibile sulla nascita della menopausa come necessità della specie per evitare l’estinzione, deriva la mia idea della menopausa come culla della civiltà.

Immaginate per un momento la fine dei secoli neri della preistoria: il cibo è diventato sufficiente per tutti, le specie animali si sono specializzate e hanno definito i territori, la vita è sempre molto dura, ma sopravvivere non è più questione di vita o di morte alla giornata, ci si può perfino permettere un momento di pausa o addirittura si può accumulare una scorta di cibo e avere il tempo per escogitare un sistema per conservarla.

Così devono essere nate le attività di cottura dei cibi, di cottura delle argille, di coltivazione, di costruzione di ricoveri per le persone e le scorte, di allevamento dei pesci, di pittura di mappe, di invenzione di metodi di conteggio delle scorte. Tutte attività a cui si potevano dedicare solo individui liberi dalle necessità immediate di sopravivenza e liberi dall’accudimento dei piccoli. Le donne adulte della comunità. Dunque la menopausa non ha solo consentito di evitare l’estinzione della specie umana ma è stata la condizione che ha permesso la nascita della civiltà.  Altrimenti la specie umana, dovendo figliare sino al fine vita, non si sarebbe potuta permettere il lusso dell’ozio creativo.

In una società così ordinata è chiaro che chi procura più cibo conta di più, guida la comunità e ne diventa facilmente la divinità. Questo spiega perchè gli antichi idoli in pietra preistorici sono tutti di genere femminile.

Ma torniamo a noi donne contemporanee, noi che abbiamo dimenticato che l’avanzare dell’età porta l’autorevolezza della maturità, porta l’immensa libertà dalle necessità ormonali e invece ci disperiamo per l’inevitabile abbandono della giovinezza, cercando di resistere al passare del tempo con puerile accanimento.

Ecco, noi, noi donne in menopausa di oggi, cosa possiamo fare in questo momento di crisi in cui l’umanità intera sembra smarrita?

Possiamo tornare a guidarla. Possiamo, ancora una volta dare il nostro contributo alla costruzione della civiltà. Come? Riprendendo il nostro ruolo di guida.

Chi può guidare la nostra piccola o grande comunità in questo momento? Solo chi non ha paura.

Gli uomini? La maggioranza va in panico quando la febbre arriva a 37 e mezzo, figuriamoci ora che si sentono braccati dal virus, gli altri pensano di poterlo sconfiggere a cazzotti come nei film americani e usano la metafora della guerra perché per loro guerra significa anche bottino, guadagni facili e conquiste di territorio. I giovani? Impauriti e disorientati stanno scoprendo un mondo dove la tecnologia non riesce a sostituire davvero la vita e non può nulla contro la malattia. Gli anziani? Indeboliti e stanchi sono le prime vittime, sono terrorizzati. Hanno tutti paura e la paura impedisce il cambiamento, l’evoluzione.

Restiamo noi. Solo noi donne di saggezza possiamo rimanere lucide e senza paura. Possiamo avere la calma per capire che il panico è solo un altro ostacolo, possiamo tranquillizzare tutti, possiamo dimostrare che la paura si vince con la conoscenza, con la corretta informazione, con la creatività. Noi abbiamo l’età per smetterla con le lagne infantili per la ruga in più o per la cerniera dei jeans che non si chiude e cominciare a prenderci la responsabilità di vivere affrontando la vita e i suoi marosi, noi abbiamo il potere, anche se dimenticato, di viaggiare verso nuovi territori di sopravvivenza, noi abbiamo il potere di nutrire la civiltà e farla cambiare, noi abbiamo la responsabilità di vedere oltre, di vedere lontano, di intuire la strada. Nel piccolo gruppo della nostra famiglia e nella specie tutta.

Quindi svuotate le tasche dai inutili ricordi sbriciolati, scrollate le gonne dai capricci di bambinette sciocche e viziate che si rifiutano di abbandonare l’infanzia dorata e seduttiva,  svuotate gli armadi e liberatevi degli ansiolitici, dei sonniferi e di tutte le droghe mefitiche che non vi fanno più riconoscere chi siete e mettetevi al lavoro: c’è da mostrare ai bambini come non aver paura di nessuna condizione, c’è da stimolare gli uomini a trovare nuove vie da percorrere, c’è da raccontare ai giovani come crescono le piante, a cosa servono le api, come si descrivono le stelle.

C’è da mostrare a tutti il valore della conoscenza e l’impegno e la serietà che sono necessari per raggiungerla. C’è da spalancare le finestre sul mondo indicando a tutti con il dito il legame che unisce noi con chiunque c’è lì fuori. C’è da preparare l’intera umanità ad un modo diverso di pensare.

Lo possiamo fare solo noi, e molte già lo fanno,  solo noi che abbiamo molto sbagliato e molto amato nella vita, noi che abbiamo esperienza, che lo abbiamo già fatto nella storia dell’umanità ed è rimasto nel nostro dna, solo noi perché è la nostra missione, il nostro scopo evolutivo. Almeno così ha deciso la specie. Quindi facciamolo, facciamo la nostra parte.

Grazia Sferrazza Callea



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